Il 24 gennaio 1979 le Brigate Rosse uccidono a Genova Guido Rossa, iscritto al Pci e delegato sindacale della Fiom Cgil, membro del Consiglio di fabbrica dell’Italsider dal 1970, reo - agli occhi dei terroristi - di aver denunciato un compagno di lavoro sorpreso a distribuire documenti delle Br all’interno della fabbrica. La risposta della base è enorme: scioperi spontanei, cortei, assemblee si svolgono in tutte le principali fabbriche italiane, da Milano a Torino, da Firenze a Taranto, da Napoli a Bologna.
È come se avessero colpito tutti noi titolerà il quotidiano L’Unità il giorno seguente: “Nessuno degli assassinii compiuti finora dai terroristi, per quanto in alto ne fossero le vittime, per quanto illustri o importanti o note apparissero, ci ha procurato un dolore profondo e se non stiamo attenti, disperante, come questo che ci viene dalla uccisione del compagno Rossa, il più grave, il più esecrando, il più crudele, il più lacerante delitto perpetrato fino ad oggi. Perché Guido Rossa era un operaio e un sindacalista. Egli apparteneva dunque alla classe di coloro ai quali ci sentiamo più vicini, perché in questa sua duplice qualità di operaio e di sindacalista rappresentava la democrazia, era la democrazia. Le altre vittime dei terroristi, profondamente rimpiante, costituivano della democrazia garanzia e presidio, difesa e sostegno, vigilanza e tutela, ma il compagno Rossa ne era l’essenza e la sostanza”.
“Guido Rossa aveva un solo torto - dirà Paolo Perugino, membro del Consiglio di fabbrica dell’Italsider - non aveva paura. Non ha mai ceduto alle intimidazioni, alle minacce. Ha fatto fino in fondo il suo dovere di comunista, di operaio comunista”.
Le istituzioni decidono per Guido Rossa i funerali di Stato che si svolgono in piazza De Ferrari il 27 gennaio. Il corteo è imponente e parte direttamente dall’Italsider di Cornigliano. In piazza De Ferrari sfilano in 250 mila insieme a Sandro Pertini, allora presidente della Repubblica.
A dispetto del cerimoniale, Pertini spinge per incontrare i camalli del porto. “Il prefetto - racconterà Antonio Ghirelli, ex portavoce del Quirinale - glielo sconsigliò, perché, disse, c’era simpatia per le Br. Ma Pertini insistette fino a che non lo accompagnarono al porto. Entrò in un grosso container, con le gigantografie di Lenin e Togliatti alle pareti. E, nonostante i suoi ottantadue anni, scattò sulla pedana e in mezzo a un pesantissimo silenzio, urlò a centinaia di portuali: «Non sono qui come presidente, sono qui come Sandro Pertini, vecchio partigiano e cittadino di questa Repubblica democratica e antifascista. Io le Brigate rosse le ho conosciute tanti anni fa, ma ho conosciuto quelle vere che combattevano i nazisti, non questi miserabili che sparano contro gli operai»”. Aggiungerà il presidente: “Questa democrazia, anche se qualcuno non è soddisfatto (nulla è perfetto a questo mondo), è una nostra conquista, una conquista della Resistenza e mi conforta che la classe lavoratrice lo abbia compreso”.
Di lui ricorderà anni dopo la figlia Sabina: “Nelle ore immediatamente dopo l’attentato […] io trascorsi gran parte di quel pomeriggio seduta sul bordo della vasca da bagno, in compagnia di mio zio, fratello di mio padre, e del mio padrino di battesimo. Non volevo più uscire da lì. Mi rifiutavo di credere che papà fosse stato davvero ucciso. Non volevo che ci fossero i funerali, tantomeno di Stato. E sostenevo con forza le mie ragioni. Ricordo un breve ma intenso incontro con l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, davanti ai cancelli dell’Italsider, a Cornigliano. Lui colse pienamente la mia situazione psicologica ed emotiva di quei giorni. Disse in un’intervista: «Ho visto la vedova, i familiari angosciati, ma specialmente colpisce la figlia che si rifiuta, si ribella ad accettare questa morte. Non ha una lacrima, nulla, ma il dolore più lancinante ce l’ha nell’anima»”.
“Nel corso della sua lotta per la difesa della democrazia e per la sua emancipazione, il movimento operaio ha conosciuto molti nemici”, ribadirà Luciano Lama il giorno dei funerali di Rossa: “Ma questi sono fra i più vili perché operano come i fascisti e hanno lo stesso obiettivo dei fascisti, anche se si coprono con una bandiera che non è la loro. Di fronte al compagno ucciso, noi, Federazione unitaria, movimento sindacale, cittadini democratici, dobbiamo confermare in un giuramento solenne il nostro impegno a combattere fino in fondo, con incrollabile fermezza, per la difesa della democrazia”.
“Abbiamo un dovere davanti ai giovani da assolvere”, ripeterà esattamente un anno dopo il segretario generale della Cgil: “Dobbiamo far sì che essi comprendano meglio le ragioni per le quali vale la pena di difendere la Repubblica, questa Repubblica. L’unico modo per migliorarla, laddove non ci piace, è difenderla per cambiarla […] Cambiare la direzione politica non può voler dire che una parte deve poter sopraffare l’altra. Cambiare la direzione politica vuol dire unire le forze della democrazia per portare più avanti i contenuti economici, sociali e politici, e dare al nostro popolo una nuovo prospettiva di avanzata verso il progresso e la libertà”.
Ilaria Romeo è responsabile dell'Archivio storico della Cgil nazionale