Centoquindici anni fa, il 4 settembre 1904, a Buggerru i minatori si ribellano ai soprusi padronali e decidono di incrociare le braccia. I dirigenti della società francese che gestisce la miniera e le terre circostanti chiedono l’aiuto delle autorità piemontesi che mandano nel piccolo centro della Sardegna sud-occidentale due compagnie di fanteria. Il tragico bilancio finale sarà di tre (secondo alcune fonti quattro) morti e decine di feriti. L’indignazione generale per l’accaduto porterà il successivo 16 settembre alla proclamazione del primo sciopero nazionale della nostra storia.
“Era fatale. Era inevitabile – si legge su La Primavera Umana del 18 settembre 1904 –. Il direttore di Buggerru aveva sete di sangue, e sangue ebbe finalmente […]. Come si svolsero i fatti… Ecco brevemente. Gli operai erano stanchi delle prepotenze e delle vessazioni”. Scrive Giuseppe Dessì nel Paese d’Ombre: “Dal fondo della piazza volò un sasso che passò sopra la folla e finì contro i vetri della falegnameria. Fu l’inizio di un crescendo. I sassi ormai cadevano fitti quando, nel panico di un istante che sarebbe difficile scomporre nella sua fulminea successione cronologica, qualcuno, rimasto sempre sconosciuto, diede un ordine secco ed energico che i soldati eseguirono automaticamente”.
“Come un solo uomo”, i militari si fermarono, “puntarono a terra il calcio dei fucili, inastarono la baionetta; poi con un gesto rapido, sicuro, fecero scorrere il carrello di caricamento, misero la pallottola in canna. Non tutti lasciarono partire il colpo, ma molti lo fecero e furono soddisfatti del loro gesto. Quella cartuccia li avrebbe salvati. Più tardi, durante l’inchiesta, risultò che i fucili avevano sparato da soli e che le autorità ignoravano che i soldati avessero le giberne piene di cartucce”.
“Quella domenica del 4 settembre 1904 – dice Emilio Miceli, della segreteria confederale Cgil – a Buggerru l’esercito caricò, armi in pugno, la folla scesa in strada per protestare contro la direzione della miniera che aveva aumentato di un’ora l’orario di lavoro giornaliero, negando loro un’ora destinata al riposo. Rimasero a terra colpiti a morte tre minatori, molti furono i feriti. Insomma, da una parte la lotta per i diritti minimi: il pane, l’orario, la salute, la sicurezza, il salario; dall'altra, la forza irrazionale delle armi, gli spari”.
Un ricordo drammatico, ma allo stesso tempo storicamente interessante, perché il 16 settembre, in segno di solidarietà, la Camera del lavoro di Milano proclama il primo sciopero generale della storia d’Italia, che si espande a macchia d’olio in tutta la penisola fino al 21 settembre 1904. “Da lì presero forza l’azione sindacale e lo stesso sindacato – prosegue Miceli –: quella Confederazione generale del lavoro che poco dopo venne fondata. Quella storia, questa storia, va difesa con i denti e con i denti dovranno essere salvaguardate tutte le conquiste del lavoro”.
“Quella fase di lotta – ricordava nel 2016 Michele Carrus, segretario generale della Cgil sarda, partecipando insieme all'allora leader della confederazione nazionale Susanna Camusso alle manifestazioni promosse per il 112º anniversario dell’eccidio – segnò una tappa significativa, una vera svolta che indusse la Camera del lavoro di Milano a porsi come soggetto centrale rispetto a tutte le Camere del lavoro che si andavano organizzando, soprattutto nell'Italia settentrionale, ma anche in Sardegna, a Sassari”.
“Chi non ha un passato, non ha poi un futuro – affermava in quell'occasione Carrus –. Ancora oggi nel nostro Paese, in molte parti del mondo, si vivono condizioni di sfruttamento brutale da parte di un padronato che continua con una logica del tutto retriva ad adottare dei comportamenti che sono assolutamente intollerabili e ripugnanti per la coscienza civile moderna. Tuttavia, rappresentano una triste realtà; esistono ancora oggi condizioni di asservimento dei lavoratori contro le quali non bisogna mai stancarsi di lottare”.
Ecco perché diventa importante coltivare una memoria: “Una memoria che è ancora attualità – concludeva il segretario generale della Cgil Sardegna –, così come attuale è la rivendicazione di una soggettività del lavoro e dei lavoratori, la rivendicazione della loro rappresentanza come soggetto collettivo che è in grado di contribuire e di portare la propria parte ai processi di cambiamento e di ammodernamento del Paese, delle sue istituzioni democratiche, della società, della cultura. Mai abbassare la guardia contro questi pericoli, ma stare sempre vigili per impedire che possano ripetersi altre pagine buie della nostra storia”.
Ilaria Romeo è responsabile dell’Archivio storico Cgil nazionale